Il Bastardo del Grappa: Storia di un Nobile ‘Bastardo’

Dalle sacre pendici del Monte Grappa, segnate dalla guerra, nasce un formaggio dal nome controverso e dal legame profondo con il suo terroir alpino. Questa è la storia del Bastardo del Grappa, una testimonianza dell’arte casearia che sopravvive nelle malghe di montagna.

Ritratto di un Formaggio di Malga

Nell’immenso anfiteatro degli alti pascoli del Monte Grappa, dove le Prealpi Venete si protendono verso il cielo, l’aria è rarefatta e fragrante. Qui, in un paesaggio segnato dalla storia ma traboccante di vita resiliente, nasce un formaggio unico, da un latte che porta in sé l’essenza dell’ambiente circostante: Bastardo del Grappa. Un nome al tempo stesso provocatorio e profondamente rivelatore, che allude a una storia di origini non convenzionali e di fiera indipendenza.

La sua produzione nelle malghe venete risalirebbe al XIX secolo, sebbene alcune fonti ne datino l’origine nell’800 d.C. Non formaggio fuori dall’ordinario, un manufatto culturale, un concentrato di luogo e di tempo, il cui stesso nome solletica la curiosità e invita a una conoscenza più profonda della sua identità.

Nonostante il suo appellativo controverso, il Bastardo del Grappa occupa un posto di primo piano nel panorama della gastronomia italiana, come un’autentica espressione del patrimonio regionale, uno status confermato dal suo riconoscimento ufficiale come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (PAT), una designazione che ne certifica la storia profondamente radicata e protegge un metodo di produzione praticato con costanza per un minimo di 25 anni.

Questa identità è inscindibilmente legata a una geografia specifica: le malghe, le casare alpine sparse sul massiccio del Monte Grappa, un’area che si estende tra le province di Treviso, Belluno e Vicenza, in Veneto.

Il nome stesso, lungi dall’essere un limite, funziona come una forma di “branding del territorio“. In un mercato saturo di formaggi intitolati a santi e paesi, “Bastardo” è indimenticabile. Racchiude lo spirito anticonformista del formaggio e la sua storia di ingegnosa improvvisazione, rendendolo un potente emblema per un prodotto nato su una montagna considerata sacra per la nazione italiana. È una storia catturata in un’unica, audace parola.

Perché ‘Bastardo’?

Le Leggende di un Originale Alpino

Le origini del nome “Bastardo” sono avvolte nelle nebbie della tradizione alpina, con diverse teorie concorrenti che, insieme, dipingono un ricco ritratto della vita di montagna. Ogni leggenda svela un aspetto del carattere del formaggio, riflettendo una storia definita da pragmatismo, adattamento e uno spirito di fiera indipendenza.

La teoria più accreditata suggerisce che il nome sia un riferimento letterale a una fonte di latte “imbastardita”. Storicamente, il formaggio era prodotto da una miscela di qualsiasi latte fosse disponibile in malga, unendo latte vaccino a quello di pecora e di capra. Questa pratica rimanda a un’epoca di parsimonia pastorale, in cui nessuna risorsa poteva essere sprecata.

Serve anche come eco linguistica dell’evoluzione agricola della regione; documenti storici mostrano che un tempo le pecore erano il bestiame dominante su queste montagne, venendo sostituite gradualmente dai bovini a seguito di grandi cambiamenti socio-politici, come la caduta della Repubblica di Venezia. Il nome, quindi, potrebbe essere un residuo di questo periodo di transizione, una testimonianza delle mandrie miste che un tempo pascolavano su questi pendii.

Una seconda teoria introduce una narrazione di gerarchia e circostanza, posizionando il Bastardo in relazione a un altro celebre formaggio della regione: il Morlacco del Grappa. Secondo questa versione, il Bastardo era il risultato dell’ingegno, prodotto con latte che, per “ragioni cronologiche o ambientali”, non poteva essere utilizzato per produrre il più delicato Morlacco. Il Morlacco, un formaggio a pasta cruda, molle e magro, che prende il nome dai pastori Morlacchi dei Balcani che si stabilirono nella zona, era l’obiettivo primario. Quando le condizioni non erano perfette per la sua produzione, i malgari creavano il Bastardo, più robusto e indulgente. In questo racconto, il Morlacco è l'”erede legittimo” della malga, mentre il Bastardo è il suo fratello astuto, adattabile e resiliente.

La terza ipotesi sposta l’attenzione dal latte al metodo. Qui, l'”imbastardimento” risiede nella tecnica di caseificazione stessa, che si dice sia un ibrido non codificato, un incrocio tra le procedure di altri due grandi formaggi veneti, l’Asiago e il Montasio. Mancando di un’identità artigianale unica e singolare, fu considerato un “bastardo” di tradizioni consolidate. Questa teoria sottolinea la natura indipendente e innovativa dei casari del Grappa, che svilupparono un proprio stile distintivo attraverso l’esperienza e la necessità, piuttosto che l’aderenza a una formula rigida.

Pur non escludendosi a vicenda, queste storie convergono su un unico, potente tema: l’agricoltura alpina è governata dall’intraprendenza, non dal dogma. Il nome “Bastardo” è una celebrazione di questa verità essenziale. Che si trattasse della necessità di mescolare i latti, del pragmatismo nell’utilizzare latte di “seconda scelta” o della creatività nell’improvvisare le tecniche, il formaggio rappresenta un trionfo dell’ingegno sulla prescrizione. Nell’ambiente difficile dell’alta montagna, lo spreco è un anatema.

La Montagna Sacra: Terroir, Tradizione e le Malghe

Comprendere il Bastardo del Grappa significa cogliere l’essenza della montagna che gli dà vita. Il Monte Grappa non è semplicemente un luogo geografico; è l’ingrediente principale del formaggio, la sua storia e la sua anima. Il concetto di terroir — l’intricata relazione tra terra, clima e tradizione umana — trova qui la sua massima espressione.

Il formaggio è un prodotto delle malghe, le tradizionali aziende lattiero-casearie alpine dove le mandrie vengono portate al pascolo estivo, una pratica nota come transumanza. Questo sistema ha radici antiche, con testimonianze scritte della produzione di formaggio nella regione che risalgono a prima dell’anno 1000. Per secoli, questa migrazione stagionale è stata essenziale non solo per produrre latte di alta qualità, ma anche per mantenere il delicato ecosistema montano, prevenendo la crescita eccessiva della vegetazione e preservando la biodiversità degli alti pascoli. Un perfetto esempio di agricoltura sostenibile ante litteram.

Questa antica tradizione, tuttavia, fu brutalmente interrotta. Durante la Prima Guerra Mondiale, il massiccio del Monte Grappa divenne un fronte di battaglia cruento e decisivo. La montagna fu trasformata in una fortezza e il paesaggio pastorale divenne un campo di battaglia. Le malghe originali in legno furono completamente distrutte e per tre anni i pascoli rimasero incolti e il bestiame venne decimato, ma la tradizione casearia seppe rinascere da quelle stesse ceneri. Ricostruite in pietra negli anni ’20, le malghe odierne sono in gran parte le eredi dirette di quella rinascita. Le stesse strade militari scavate nel fianco della montagna per rifornire il fronte sono ora le arterie che consentono a questa tradizione di prosperare attraverso l’agriturismo e la vendita diretta.

Il sapore del Bastardo del Grappa traduce fedelmente la complessità di questo ambiente unico. I pascoli d’alta quota del Monte Grappa sono un tesoro botanico, con oltre 80 specie distinte di erbe, piante officinali e fiori selvatici. Mentre le mucche pascolano liberamente, i composti aromatici di questa flora diversificata passano nel loro latte. Studi scientifici sui formaggi alpini hanno confermato che il latte di animali al pascolo contiene alti livelli di terpeni — composti aromatici presenti nelle piante — che sono assenti nel latte di mucche alimentate con mangimi commerciali standardizzati.

La composizione specifica del foraggio influisce sul profilo degli acidi grassi del latte, arricchendolo di grassi insaturi benefici come gli omega-3. Può persino alterare l’attività enzimatica del latte, come i livelli di plasmina, che svolge un ruolo cruciale nella scomposizione delle proteine durante la stagionatura. Questo, a sua volta, influisce direttamente sulla consistenza finale del formaggio, rendendolo spesso più cremoso e meno compatto rispetto ai suoi omologhi di pianura, e contribuisce a un profilo aromatico più intenso e complesso.

Dal Pascolo al Piatto: L’Arte Meticolosa del Bastardo del Grappa

La creazione del Bastardo del Grappa è un rituale meticoloso e consacrato dal tempo, governato dalle leggi non scritte della malga e dai regolamenti formali della sua designazione PAT.

Il punto di partenza è, naturalmente, il latte. Si utilizza esclusivamente latte vaccino crudo, proveniente da razze montane come la Pezzata Rossa (Simmental) e la Bruna Alpina, perfettamente adattate all’aspro terreno alpino. La sua unicità, tuttavia, si definisce fin da subito in una pratica fondamentale: l’impiego del latte di due mungiture separate.

Il latte della mungitura serale viene portato in una stanza fresca e ventilata, cason dell’aria, e lasciato riposare per una notte in bacinelle poco profonde, permettendo alla panna di affiorare naturalmente in superficie. Al mattino, la panna viene parzialmente scremata, definendo così il carattere “semigrasso” del formaggio. Questa pratica è un’eredità diretta dell’economia storica della malga, dove il burro era un bene primario e di grande valore, più facile da trasportare e vendere nelle pianure sottostanti. Il latte scremato della sera viene quindi mescolato con il latte fresco e intero della mungitura del mattino, creando una base perfetta per il Bastardo. In questa scelta risiede la sua identità unica, nata da un intelligente pragmatismo economico: dare valore a ciò che restava dopo aver prodotto il burro.

Questo latte miscelato viene quindi riscaldato delicatamente in tradizionali grandi caldaie di rame, mescolando costantemente, fino a una temperatura compresa tra 38°C e 42°C. Si aggiunge caglio di vitello liquido o in polvere e si lascia coagulare il latte per circa 25-30 minuti. Una volta che la cagliata è pronta, il casaro la rompe con uno strumento tradizionale chiamato spino, una grande frusta o lira. La cagliata viene rotta finemente, fino a quando i grani raggiungono le dimensioni di un chicco di mais o di riso. Questa piccola dimensione è fondamentale per espellere più siero, portando a un formaggio più duro e adatto a una lunga stagionatura. Dopo la rottura, inizia il processo di semicottura. La cagliata e il siero vengono lentamente riscaldati a una temperatura di 48-50°C, il che rassoda ulteriormente i grani di cagliata e influenza la consistenza finale del formaggio.

Dopo la cottura, si lascia che la cagliata si depositi sul fondo della caldaia. Il casaro estrae quindi abilmente la massa consolidata con grandi teli, la divide e la colloca in stampi forati, o fascere. Il formaggio viene leggermente pressato per espellere il siero residuo e per formare la sua caratteristica forma cilindrica. Queste forme fresche subiscono poi un periodo di riposo, stufatura, di due o tre giorni in una stanza calda, cason del fogo, che permette una corretta acidificazione e sviluppo della struttura. La salatura viene effettuata immergendo le forme in una salamoia satura per quattro o cinque giorni, garantendo così un sapore uniforme e costante in tutta la pasta.

La fase finale e più trasformativa è la stagionatura. Le forme salate vengono trasferite in una cantina di stagionatura dedicata, il casarin, dove riposeranno per un periodo che va da un minimo di 25 giorni a ben oltre un anno. Durante questo tempo, il malgaro agisce come un custode attento, girando regolarmente le forme e pulendo le croste per gestire la crescita di muffe naturali e garantire che il formaggio si sviluppi perfettamente. È qui, nel fresco e silenzioso buio del casarin, che il Bastardo del Grappa raggiunge la sua piena espressione, sviluppando la profondità e la complessità che lo rendono un’eccellenza delle montagne.

Un Profilo Organolettico in Evoluzione: Degustare il Bastardo del Grappa nel Tempo

Il suo carattere si evolve profondamente con l’età, offrendo uno spettro di esperienze sensoriali dalla sua giovinezza come semistagionato alla sua piena maturità come stagionato. Ogni fase rivela un aspetto diverso della sua anima montana.

Il formaggio si presenta di forma cilindrica, generalmente di 25-30 cm di diametro e 5-8 cm di altezza, con un peso che varia da 2.5 a 5 kg. In gioventù, dopo 30-90 giorni di stagionatura, il formaggio ha un sapore delicato. La crosta è liscia, morbida ed elastica, con una tonalità giallo paglierino pallido. La pasta è di un bianco candido o paglierino chiaro, compatta ma cedevole. È punteggiata da un’occhiatura di piccole e medie dimensioni, distribuita in modo sparso e irregolare. L’aroma è delicato e piacevole, ricco di sentori di latte fresco, burro cotto e le sottili note erbacee dei prati alpini. Al palato è prevalentemente dolce e lattiginoso, con un carattere delicato e aromatico profondamente appagante.

Con il passare dei mesi, avviene una profonda metamorfosi. Una forma stagionata da sei mesi a un anno è una creatura completamente diversa. La crosta si scurisce fino a un giallo intenso o marrone, diventando dura, secca e non edibile. La pasta assume un colore paglierino intenso e la sua consistenza cambia completamente, perdendo la sua elasticità per diventare dura, granulosa e friabile. Anche il profilo aromatico subisce una simile intensificazione. La dolcezza iniziale si attenua, lasciando il posto a una sapidità pronunciata e gustosa. Diventa più piccante e complesso, con un finale persistente che non è mai aggressivamente speziato ma è profondamente saporito. Anche gli aromi si evolvono, guadagnando complessità con note di fieno secco, frutta secca tostata e un pulito sentore animale che ricorda la stalla. Un formaggio stagionato per oltre un anno diventa un vero formaggio da meditazione, con un sapore audace e di frutta secca e la consistenza cristallina che gli intenditori amano.

La Guida dell’Intenditore: Abbinare e Servire il Bastardo del Grappa

Il Bastardo del Grappa è un formaggio versatile sia come protagonista di un tagliere sia come ingrediente dinamico in cucina. La sua ampia gamma di sapori, a seconda della stagionatura, invita a una varietà di abbinamenti creativi e tradizionali che celebrano le sue origini venete.

Nelle sue versioni più mature, il Bastardo è un superbo formaggio da meditazione, da assaporare in purezza per coglierne ogni complessità. Il suo legame più profondo e rustico è però con la polenta: una fetta stagionata, lasciata sciogliere lentamente su una ciotola fumante, è un’esperienza che evoca la più schietta tradizione alpina.

Ma è in cucina che la sua consistenza semidura svela un’inaspettata versatilità. Perfetto da grigliare o friggere finché la crosta non diventa dorata e croccante a contrasto con un cuore morbido, si rivela anche un ingrediente capace di nobilitare i classici del territorio. Diventa memorabile, ad esempio, in un risotto mantecato insieme a un’altra icona veneta, il Radicchio di Treviso.

Il principio guida per abbinare il vino al Bastardo del Grappa è guardare alla sua terra d’origine. Il Veneto con un panorama enologico ricco e diversificato è il partner perfetto. Un Bastardo giovane, con la sua delicata dolcezza e le note lattiche, richiede i vini bianchi freschi e aromatici della regione. Un Müller Thurgau, un Riesling o un Traminer Aromatico del vicino Trentino-Alto Adige sono un abbinamento eccellente. Per un abbinamento veramente classico il Prosecco Superiore DOCG. La spiccata acidità e le bollicine fini del vino tagliano la grassezza del formaggio, pulendo il palato e esaltando le sfumature più delicate del formaggio. Da preferire nelle versioni Brut o Extra Brut, per un contrasto più netto e pulito.

Man mano che il formaggio matura e i suoi sapori diventano più intensi e sapidi, richiede un vino con più struttura e carattere. I partner ideali sono i vini rossi della regione. Un Merlot di medio corpo, un Pinot Nero o anche un vitigno locale come il Groppello si abbinerebbero perfettamente alle sue note di frutta secca e piccanti. Per un abbinamento davvero audace, un Cabernet Sauvignon locale o un complesso Valpolicella Ripasso hanno la profondità per tener testa alle forme più stagionate e potenti.

Oltre al vino, gli accompagnamenti giusti possono elevare l’esperienza di degustazione del Bastardo. La pronunciata sapidità del formaggio stagionato è magnificamente bilanciata dalla dolcezza. Mieli robusti e saporiti sono una scelta classica; un filo di miele di castagno scuro o del locale Miele del Grappa fornisce un contrappunto perfetto. Anche le confetture di frutta e le mostarde sono partner tradizionali. Una scelta particolarmente ispirata e locale è una Composta Dolce Ortica e Miele, la cui dolcezza erbacea è specificamente pensata per armonizzarsi con il carattere alpino del formaggio. Per un assaggio completo della regione, servite il Bastardo del Grappa su un tagliere con noci, pane di segale sostanzioso e fette di salumi regionali come la Soprèssa Vicentina o il Prosciutto Veneto Berico-Euganeo.

Foto in evidenza: Fromagerie Holzapfel

Il Bastardo del Grappa: Storia di un Nobile ‘Bastardo’

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