Svolta a New Delhi: la Cucina Italiana è Patrimonio Unesco. Cronaca di un trionfo storico (e di una nuova responsabilità)

Il Comitato intergovernativo dell’Unesco delibera all’unanimità: per la prima volta viene premiato un intero sistema gastronomico nazionale e non un singolo rito. Una vittoria del “metodo italiano” tra biodiversità e inclusione sociale, ma anche un asset politico ed economico da 251 miliardi di euro. Le reazioni della politica, la consapevolezza degli chef e i numeri di una filiera ora chiamata alla sfida della tutela globale

È la prima cucina nazionale al mondo a essere iscritta nella sua interezza. Non il singolo piatto, non la singola pratica — come fu per l’arte del pizzaiuolo napoletano o la Dieta Mediterranea — ma il “sistema” cucina“. Un unicum che distingue il caso italiano dai precedenti illustri: il Pasto gastronomico dei francesi (2010), la cucina tradizionale messicana (2010), il Washoku giapponese (2013), o la stessa Dieta Mediterranea (2010).

La motivazione letta in India parla chiaro: «Miscela culturale e sociale», pratica che «rafforza i legami», «apprendimento intergenerazionale». Ma dietro la poesia del “prendersi cura”, c’è la prosa dei numeri e della diplomazia. È il risultato di un dossier tecnico — La cucina italiana: sostenibilità e diversità bioculturale — spinto dall’Accademia Italiana della Cucina, Fondazione Casa Artusi e La Cucina Italiana, e blindato dalla sinergia tra il Ministero della Cultura e il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste.

La politica: esultanza trasversale e focus sull’export

La reazione delle istituzioni è corale, ma le sfumature raccontano le diverse deleghe. Non si parla solo di “buon cibo”, ma di asset strategici.

Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio: Definisce la cucina «il nostro ambasciatore più formidabile». Per la Premier, il riconoscimento «onora la nostra identità» e sottolinea come il dossier sia stato una vittoria di sistema. Meloni punta sul concetto di filiera: dai produttori ai ristoratori, definendo la cucina un «patrimonio millenario» che arricchisce l’offerta culturale.

Antonio Tajani
, Vicepremier e Ministro degli Esteri: Presente a New Delhi, Tajani traduce il premio in termini economici: «Volano di crescita e prosperità». Cita i dati dell’export (68 miliardi nel 2024) e definisce la cucina strumento di «innovazione e salute».

Francesco Lollobrigida, Ministro dell’Agricoltura: Pone l’accento sulla produzione primaria. Per lui è la vittoria di «agricoltori e produttori» e la celebrazione di un popolo che ha saputo «trasformare la tradizione in valore universale».

Daniela Santanchè, Ministra del Turismo: Parla apertamente di «asset strategico». Collega il titolo Unesco all’incoming turistico, citando progetti come l’Italia Gourmet Bus e definendo l’enogastronomia un «pilastro imprescindibile» dell’industria dei viaggi.

Alessandro Giuli, Ministro della Cultura: Si concentra sull’aspetto antropologico. La cucina come «rito collettivo» e il pranzo della domenica come elemento identitario che «attraversa le generazioni».

Matteo Salvini, Vicepremier: Affida ai social un commento identitario, contrapponendo la tradizione Unesco al cibo sintetico: «Alla faccia di chi vuole metterci cibo da laboratorio e insetti nei piatti».

Massimiliano Giansanti, Confagricoltura: Rivendica il ruolo della terra: «Il riconoscimento va anche a noi agricoltori che garantiamo la produzione primaria».

La voce delle cucine: fine del romanticismo, inizio della consapevolezza

Dalle brigate stellate, il commento è unanime ma privo di retorica stucchevole. Gli chef leggono il premio come un richiamo alla responsabilità e alla tutela della filiera.

Massimo Bottura (Osteria Francescana): Alza il tiro sull’etica. La cucina non è ricettario, ma «rito d’amore» e gesto sociale, come dimostrato dai suoi Refettori.

Niko Romito (Reale): Pragmatico. Parla di «responsabilità». Invita a investire su «formazione, filiere e comunicazione autentica», legando l’innovazione alla sobrietà dei territori.

Chicco Cerea (Da Vittorio): Guarda al mercato internazionale. Il premio deve servire a combattere l’Italian Sounding e la contraffazione. Chiede alle istituzioni di supportare l’export.

Franco Pepe (Pepe in Grani): Dedica la vittoria ai piccoli agricoltori. Sottolinea come dietro un piatto ci sia il lavoro silenzioso di chi coltiva, citando il pomodoro riccio della sua pizza.

Heinz Beck (La Pergola): Avverte contro le semplificazioni. L’Italia non è solo pasta e pizza, ma un bagaglio di tecniche complesse che non va dimenticato mentre si innova.

Pino Cuttaia (La Madia): Allarga l’orizzonte al Mediterraneo. Vede nella cucina italiana la sintesi di gesti comuni a tutto il bacino, dalle conserve al tonno.

Gennaro Esposito (Torre del Saracino): Tranchant. «Fine del romanticismo». Il riconoscimento certifica che la cucina italiana è una cosa seria, complessa, tecnica, non solo “cucina della nonna”.

Il controcanto

Come ogni dossier complesso, non mancano le voci fuori dal coro, necessarie per una lettura non appiattita. Alberto Grandi, storico dell’alimentazione e noto “demolitore” dei miti gastronomici, parla di operazione di marketing: «Abbiamo chiesto all’Unesco di certificare la nostra caricatura gastronomica, non la realtà storica». Arrigo Cipriani, patron dell’Harry’s Bar, è scettico sull’unicità: «Non esiste la cucina italiana, esistono le cucine regionali. Unificare tutto non ha senso, è una generalizzazione vaga».

I numeri della vittoria

Al di là delle opinioni, il riconoscimento Unesco poggia su una Business Unit formidabile che ora ha un marchio di garanzia globale. I fondamentali economici del settore delineano una crescita strutturale: il valore complessivo della cucina italiana nel mondo è stimato a quota 251 miliardi di euro, mentre l’export agroalimentare ha chiuso il 2024 a 68 miliardi, registrando un ulteriore balzo del 6% nei primi otto mesi del 2025.

Un focus specifico merita il cuore manifatturiero della tavola tricolore — pasta, prodotti da forno, dolci e caffè — che da solo muove un fatturato industriale di 60 miliardi, di cui 23 derivanti dalle vendite oltreconfine. L’impatto atteso sul turismo è altrettanto concreto: le proiezioni indicano un incremento tra il 6% e l’8% delle presenze straniere nel biennio, potenziando una spesa turistica enogastronomica che già oggi vale 9 miliardi diretti. La pasta resta la regina indiscussa: 23,3 kg pro capite consumati e ambasciatrice d’italianità per il 96% della popolazione.

Osservatorio Internazionale sulla Cucina e il Buon Gusto Italiano

Per la Fondazione Casa Artusi segna l’inizio della fase più complessa: la gestione e la tutela dell’asset. «Il riconoscimento è meritato», afferma Andrea Segrè, Presidente di Casa Artusi. Ma la celebrazione deve lasciare subito spazio alla strategia. Da Pellegrino Artusi, padre fondatore della nostra grammatica gastronomica, questo patrimonio si è evoluto arricchendosi di biodiversità culturale. «Adesso però dobbiamo mantenerlo».

Per rispondere a questa esigenza operativa nasce oggi l’Osservatorio Internazionale sulla Cucina e il Buon Gusto Italiano. Non una vetrina, ma un presidio tecnico e culturale istituito per monitorare lo stato di salute del brand “Cucina Italiana” nel mondo.

Svolta a New Delhi: la Cucina Italiana è Patrimonio Unesco. Cronaca di un trionfo storico (e di una nuova responsabilità)

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