Ortigia non è semplicemente un quartiere, è il cuore pulsante e l’anima più antica di Siracusa.
Affiorando lungo la costa orientale della Sicilia, quest’isola-cittadella è una casba barocca scolpita in una pietra color miele, un luogo talmente unico da essere annoverato nel patrimonio dell’umanità dell’UNESCO. La sua storia è un racconto denso, stratificato, che ha visto Greci, Romani, Bizantini, Arabi e Spagnoli lasciare un’impronta indelebile. Oggi, perdersi nei suoi vicoli è un’esperienza vibrante, un viaggio attraverso millenni di cultura.
Varcando il ponte Umbertide che la collega alla terraferma, si incontrano subito le imponenti rovine del Tempio di Apollo. È una visione potente che segna l’ingresso nella storia. Questo tempio, il più antico esempio di architettura dorica in Sicilia, risale al VI secolo a.C. e segna il passaggio epocale dalla costruzione in legno a quella in pietra. Un’iscrizione su un gradino rivela ancora oggi la sua dedica:”Kleomene, figlio di Knidieida, fece per Apollo, e innalzò i colonnati, che sono opere belle”. Nei secoli, la sua sacralità è stata reinterpretata, divenendo prima chiesa paleocristiana, poi moschea araba e infine basilica normanna, testimone silenzioso del fluire delle civiltà.
L’eredità greca di Ortigia, però, non è solo scolpita nella pietra dei templi, ma si celebra anche nel genio dei suoi figli più illustri. A pochi passi, in Via Mirabella 31, si può infatti visitare: il Museo Archimede e Leonardo. All’interno di un prestigioso palazzo settecentesco, le macchine funzionanti di Leonardo da Vinci dialogano idealmente con le invenzioni del grande matematico siracusano, Archimede. È un incontro unico tra due giganti del pensiero, un ponte tra la scienza della Magna Grecia e l’ingegno del Rinascimento, che si esplora ammirando catapulte e leve accanto agli studi anatomici di Leonardo.
A pochi passi dal tempio, la vita quotidiana esplode nel chiasso e nei colori del Mercato di Ortigia. Ogni mattina, dal lunedì al sabato, via de Benedictis si trasforma in un teatro a cielo aperto. I banchi sono un viaggio sensoriale: dalle spezie d’Oriente al pesce appena pescato, dai formaggi locali ai frutti baciati dal sole.
Tra i gabbiani e l’odore del mare, ci si può sedere ai tavoli della Salumeria Burgio, sparsi qua e là, per mangiare un panino con canestrato fresco dei monti Sicani o magari una fetta di tuma persa con la ‘nduja di Spilinga. Per una pausa dolce, la tappa obbligata è la storica Pasticceria Marciante, il luogo perfetto per la classica granita di mandorla con brioche, ma anche per scoprire dolci che sono veri e propri racconti della città: gli Occhi di S. Lucia, che celebrano la patrona protettrice della vista, come anche la tradizionale Cuccìa preparata a dicembre, e Eureka, un tributo al genio di Archimede.
Lasciandosi alle spalle il mercato, si entra nel cuore barocco dell’isola, approdando in una delle piazze più belle d’Italia: Piazza Duomo. Qui, l’eleganza dei bianchi palazzi signorili crea una scenografia teatrale. Sulla sinistra, il Palazzo Beneventano del Bosco, un superbo esempio di architettura barocca con le sue balconate in ferro battuto, mentre di fronte si erge il Palazzo del Vermexio, attuale sede del Municipio, che fonde stile rinascimentale e barocco.
Ma lo sguardo è inevitabilmente catturato dalla facciata sontuosa del Duomo di Siracusa, che nasconde un segreto millenario: al suo interno sopravvive, maestoso e intatto, il Tempio di Atena. Eretto nel 480 a.C. per celebrare una vittoria contro i Cartaginesi, le sue colonne doriche sono ancora oggi visibili, possenti, sia all’esterno che all’interno. La storia di questo luogo è un incredibile palinsesto: tempio greco, basilica bizantina con le mura costruite tra le colonne, moschea durante la dominazione araba e infine cattedrale normanna. Varcare la soglia significa attraversare secoli di fede e arte, fino a trovarsi in un interno sobrio e solenne, che ospita tra le sue opere anche un San Zosimo attribuito ad Antonello da Messina.
Sulla stessa piazza, la Chiesa di Santa Lucia alla Badia completa il quadro con la sua raffinata facciata barocca. Custodiva, fino a tempi recenti, il Seppellimento di Santa Lucia del Caravaggio, un capolavoro che riempiva gli occhi di un’emozione profonda, ora restituito alla sua sede originaria.
Addentrandosi nel labirinto di vicoli, si percorre la via della Maestranza, tornata a splendere grazie ai restauri. Qui si scoprono botteghe preziose come Ceramikale, che espone le iconiche “teste di moro” in ceramica di Caltagirone di Alessandro Alota, o la libreria indipendente Casa del Libro Rosario Mascali. L’aria si riempie dei profumi di agrumi e spezie emanati da boutique come Ortigia Sicilia, che racchiudono l’essenza dell’isola in saponi e fragranze raffinate.
Questa ricchezza di stimoli si riflette inevitabilmente nella cucina. Perché se Ortigia è un mosaico di stili e culture, lo stesso vale per la sua tavola. L’anima de ‘U’ Scogghiu’, come l’isola è chiamata in dialetto, si gusta nelle locande e nei bistrot, dove le ricette attingono da tutto il Mediterraneo. Si scoprono così sapori antichi come la pasta fritta alla siracusana o alla salsa moresca, i pupetti i mucco (polpette di pesce neonato) o la matalotta, una densa zuppa di pesce, accanto alla classica caponata, qui proposta in innumerevoli varianti.
L’esplorazione gastronomica si snoda così attraverso un dedalo di proposte, ognuna con la propria identità. Ci si può imbattere nell’atmosfera più genuina e familiare de La Tavernette di Piero, dove la giovane Angela cura la sala e lo zio Piero in cucina resta fedele ai piatti della tradizione. Poco più in là, nel quartiere degli Spiriti, si può scoprire la “cucina sussurrata” del Macallé Sicilian Bistrot, dove lo chef Maurizio alleggerisce le ricette classiche in creazioni più creative, come le busiate al ragù di polpo.
Un approccio simile, ma dal respiro più narrativo, si trova al ristorante Don Camillo, un luogo caro persino alla leggenda del mare Enzo Maiorca. È qui che lo chef e proprietario Giovanni Guarnieri trasforma la cucina in racconto, dove ogni ingrediente ha una sua storia e ogni piatto diventa una narrazione del territorio, percepibile in creazioni come la crema di mandorle di Noto con gamberi o gli spaghetti “delle sirene” con gamberi e ricci. Infine, nel quartiere della Giudecca, con una splendida vista sul mare, l’Alevante Restaurant di chef Igor spinge l’esperienza verso un’audace cucina fusion, che unisce la Sicilia all’Africa e al mondo arabo in piatti come la caponata con dadolata di pescespada.
Il percorso culturale prosegue verso la Galleria Regionale di Palazzo Bellomo, un affascinante edificio che fonde architettura sveva e gotica. Al suo interno, il tesoro più prezioso è l’Annunciazione di Antonello da Messina, un’opera di una bellezza folgorante. Non lontano, quasi nascosta, la Chiesa di San Giovannello con la sua facciata quattrocentesca e la suggestione di un interno a cielo aperto, che le conferisce un’atmosfera unica.
Proprio nel cuore della Giudecca, il quartiere ebraico, si cela una delle esperienze più toccanti: il Bagno Rituale Ebraico (Mikvè). Scendendo a 18 metri di profondità, si scopre uno dei mikvè più antichi d’Europa, risalente al VI secolo d.C. Le vasche scavate nella roccia e alimentate da acqua sorgiva raccontano storie di una comunità e di un rituale di purificazione e rinnovamento spirituale che connette il visitatore a un’anima antica e profonda di Ortigia.
La passeggiata prosegue verso la punta estrema dell’isola, seguendo il richiamo del mare. Si arriva così alla Fonte Aretusa, uno specchio d’acqua dolce a pochi metri dalle onde salate. La sua esistenza è legata al mito della ninfa Aretusa, trasformata da Diana in sorgente per sfuggire al dio Alfeo, che la raggiunse tramutandosi in un fiume sotterraneo. Oggi, tra le piante di papiro che vi crescono rigogliose, la leggenda sembra ancora vibrare. E mentre il cammino si avvicina alla fortezza, si può trovare la “cucina gentile” della Locanda Maniace, dove le proposte rivisitate, come i moscardini fritti al miele, riflettono la rara cortesia del proprietario Mirko.
Infine, a dominare l’orizzonte, si staglia il Castello Maniace. Fatto erigere da Federico II di Svevia tra il 1232 e il 1240, è una fortezza imponente e al contempo signorile, posta a guardia del porto. Il suo nome è un omaggio al generale bizantino Giorgio Maniace, che riconquistò la città dagli Arabi. Con la sua robusta pianta quadrata, le torri cilindriche e il portale gotico, il castello è il simbolo della forza di Siracusa. Camminare sui suoi bastioni, con lo sguardo perso nell’azzurro del Mar Ionio, è il modo perfetto per concludere un viaggio in questo angolo di mondo dove ogni pietra racconta una storia.
Foto di copertina: Agostino Artnoir Sella