Rêverie è il nuovo progetto visivo di Francesco Meneghello, un racconto astratto e onirico del mondo WE DON’T DESIGN. Oggetti concettuali e fotografia astratta si incontrano nello spazio sospeso e indefinito della rêverie.
Rêverie è una parola piena di magia, è quella meravigliosa forma di abbandono contemplativo in cui il pensiero vaga libero, senza una meta precisa, lasciandosi trasportare da emozioni, ricordi, suggestioni sensoriali. Questo modo sensuale, fluttuante e leggero di entrare in contatto con il mondo sensibile ha ispirato il nuovo progetto visivo di Francesco Meneghello, dedicato ai collectibles del mondo WE DON’T DESIGN e alla questione della loro rappresentazione.
Come tradurre in immagine l’anima di oggetti metafisici che, come enigmi sospesi tra idea e forma, sfuggono alla logica per sfiorare l’immaginario, il sogno, la metafora? Addentrandosi nello spazio impalpabile della rêverie — e rinunciando a ogni istinto realistico — la narrazione visiva nata dal dialogo tra Francesco Meneghello e il fotografo milanese Thomas Pagani si trasforma in un’esplorazione concettuale.
Un’indagine a quattro mani sulla possibilità della fotografia non solo di preservare l’identità simbolica degli oggetti, ma di moltiplicarne i significati, amplificandone la forza semantica e aprendoli a nuove interpretazioni. In una curiosa commistione di tecnologia digitale e sensibilità analogica, le immagini di Thomas Pagani sono volutamente “sporche”, imperfette.
Ogni scatto è un frammento di mondo in bilico tra presenza e immaginazione, dove luci e ombre diventano strumenti poetici di narrazione. Come nei sogni, gli oggetti si trasformano in pensiero visivo. Emergono in bianco e nero, spogliati del loro contesto e liberati da ogni riferimento dimensionale o formale. L’immagine non ritrae il “vero”, né il “verosimile”, ma sperimenta un universo possibile, che induce a prendere le distanze da ogni certezza.
In contrapposizione all’estetica dominante contemporanea che esalta l’immediatezza comunicativa, Rêverie invita a un gesto contemplativo e profondamente poetico. Ci impone di rallentare lo sguardo, per entrare in relazione con ciò che non viene detto. Chiama in causa la sensibilità e l’immaginazione come strumenti per accedere a una dimensione più intima e profonda della realtà.
Ogni immagine nasce da un’alchimia tra autore e fotografo, alla ricerca di quel confine sottile in cui tutto si dissolve. Nessuno dei due linguaggi prevale. Entrambi si spingono fino al loro punto di contatto estremo, in quello spazio di rêverie abitato dall’indefinito, dall’ambiguo, dal mistero.
Una rêverie visiva in cui realtà e immaginazione si incontrano, senza mai coincidere. Un esercizio di sguardo che non si accontenta di vedere, ma cerca di pensare attraverso le immagini.
“La rêverie è solitudine felice. È un pensiero che si affida all’immaginazione, che accoglie il mondo senza volerlo dominare.” Gaston Bachelard, La poetica della rêverie 1960
Aldilà WE DON’T DESIGN
Nella sua forma tangibile, Aldilà è una sfera in cristallo trasparente di Murano, dal diametro di 50cm, realizzata in nove esemplari dal maestro vetraio Simone Cenedese, custode della secolare tradizione veneziana del vetro soffiato a bocca.
Come curiose ampolle di un alchimista, ogni sfera racchiude una delle nove diverse essenze inedite create da Spyros Drosopoulos, maître parfumeur indipendente che si spinge oltre i confini di ciò che il profumo può significare e fare.
Immaginate per condurre i sensi in luoghi olfattivi ancora inesplorati, le nove fragranze composte da Spyros Drosopoulos per Francesco Meneghello ruotano intorno alla nota complessa e seducente della rosa, sperimentando nuovi accordi tra le sue varietà più preziose – come la rosa bulgara, greca e marocchina – e abbracciando il mondo simbolico di un fiore che rappresenta da sempre la quintessenza dello spirito.
Al di là della sfera di vetro il contenuto prezioso è visibile e attraente, ma impossibile da sperimentare nella sua pienezza. Solo un istante divide l’esperienza visiva (razionale, limitata e inappagante) da quella olfattiva (onirica, assoluta e sensuale). Un istante che contempla un atto di distruzione, di rinuncia alla presenza materiale. Non c’è altra possibilità per il pieno godimento del profumo. È un passo irreversibile: il cristallo andrà in pezzi e il profumo, diffondendosi nell’aria, avvolgerà sì i sensi con il piacere sublime della sua fragranza, ma perderà per sempre la sua permanenza e la sua magnificenza olfattiva, unica e irripetibile. E istantaneamente il valore dell’opera si azzererà.
Difficile resistere al gesto performativo suggerito dalla presenza di un martello, parte integrante del concept. Chi possiede l’opera è chiamato a scegliere il suo destino.
Nel suo modo libero e colto, ancora una volta Francesco Meneghello indaga sulle potenzialità espressive di forme che tendono all’astrazione, trasformando una geometria pura in un oggetto ipersemantico. Tanti i mondi simbolici che si intersecano nel concept di Aldilà. L’idea di eternità racchiusa nella geometria perfetta della sfera. Il potere alchemico del profumo capace di sfiorare stadi intensi dell’inconscio attraverso il più misterioso dei sensi. Il simbolismo della rosa, metafora universale di bellezza, femminilità e amore sacro. E il senso mistico dei numeri, con un riferimento speciale alla numerologia presente nell’immaginifico viaggio nell’Aldilà raccontato da Dante nella Divina Commedia.
Omaggiando la ricchezza della matematica dantesca, Aldilà nasce in nove pezzi, come nove sono i cerchi dell’Inferno e nove i cieli del Paradiso, numero sacro simbolo di cambiamento e di rinascita. La sfera di vetro contiene 333 centilitri di preziosa essenza ad alta concentrazione, in riferimento al significato del tre – e dei suoi multipli – che nella numerologia dantesca è associato alla perfezione, alla fede e alla conoscenza.
Come sempre accade nel lavoro di Francesco Meneghello, non manca uno sguardo curioso e riverente alla ricerca delle avanguardie artistiche del secondo dopoguerra italiano, il suo mondo di riferimento privilegiato. In particolare alle 38 varianti della serie La fine di Dio (1963) di Lucio Fontana, grandi telai ovali caratterizzati da costellazioni di buchi che, come finestre su un’altra dimensione, invitano lo spettatore a riflettere sull’interazione tra umano e trascendente. E alle 90 latte Merda d’artista (1961) di Piero Manzoni, di cui è possibile conoscere il contenuto solo violando l’opera e annientando il suo valore.
Il fine dell’esperienza – ci dice Francesco Meneghello – è la sinestesia, quel cortocircuito sensoriale/percettivo che – coinvolgendo tatto, vista e olfatto – realizza il pieno appagamento della conoscenza, come accade nei canti più splendenti del Paradiso dantesco.
Aldilà lascia solo intuire questa possibilità, ma la realtà sensibile – come nel pensiero neoplatonico – è caduca e imperfetta. La Verità nella sua forma assoluta è da cercare altrove, al di là della incompletezza e delle ambiguità del mondo fenomenologico.
Memorie WE DON’T DESIGN
Memorie è il nuovo progetto curato da Francesco Meneghello e Davide Lanfranco per WE DON’T DESIGN, il format immaginato dallo stesso Francesco Meneghello per accogliere progetti radicali, sperimentazioni astratte, esperienze che hanno origine in quell’inafferrabile spazio grigio – affascinante quanto inesplorato – in bilico tra l’arte e il design.
Memorie nasce da un gesto minimo che ripercorre in modo libero e avventuroso i passi compiuti da Piero Manzoni nella ricerca di una traccia artistica “infinibile”, ricerca diventata concreta nel 1959 con la presentazione delle sue celebri Linee.
Nella sua genesi e natura tessile, Memorie è identificabile come un tappeto, ma la sua consistenza materiale è così scarnificata da perdere valore d’uso. Come un tempio in rovina, si può solo immaginare la sua forma e la sua originale funzione. Consumando irreversibilmente la consistenza materica, il tempo diventa la dimensione più evidente dell’oggetto. Il tempo pensabile all’infinito e il tempo edax rerum, quello terreno che corrode la materia lasciando ruderi a testimonianza del passato.
Memorie è un “atto estremo”, una riflessione sulla fatale caducità delle cose che ha nella dimensione del ricordo l’unica possibile resistenza. La memoria contrasta l’oblio, attribuisce al tempo una dimensione intima, in qualche modo in(de)finita.
Esperienze, ricordi, emozioni non compongono una trama organica, ma una sequenza disomogenea, complessa e fluttuante, a volte densa, a volte evanescente, rappresentata nell’essenza discontinua e frastagliata del tappeto.
Memorie è realizzato in edizione unica di 1959 metri lineari, 1959 come l’anno in cui Piero Manzoni ha creato le sue prime Linee. Alla “infinibilità” del concetto geometrico di linea, Francesco Meneghello e Davide Lanfranco aggiungono il paradosso della “divisibilità”, giocando sulla possibilità di possedere un “frammento di infinito”, dalla lunghezza minima di 1.23m – l’incipit della sequenza infinita di numeri naturali – al limite simbolico di 1959m.
Memorie è realizzato in Nepal, tessuto a mano in filato di seta naturale di colore nero. La sua produzione segue codici etici di sostenibilità verso l’ambiente e le persone, promuovendo l’inclusione e il sostegno alle comunità locali. Ogni “frammento di infinito” – identificato da un numero di serie progressivo e doppio certificato di autenticità – rappresenta un pezzo unico, per la lunghezza personalizzata e per la disposizione casuale delle frange.
Mirrorless WE DON’T DESIGN
Mirrorless rappresenta il primo capitolo di WE DON’T DESIGN, il format immaginato da Francesco Meneghello per accogliere progetti radicali e sperimentazioni astratte in perpetua oscillazione tra arte e design. Mirrorless è un oggetto metafisico, appartiene a mondi di pensieri che si allontanano dalla logica razionale per sperimentare altri universi di senso che hanno a che fare con l’astrazione, il paradosso, l’utopia.
La sua identità concettuale è nell’assenza di una superficie riflettente e nella presenza di un vuoto, che elude i limiti dimensionali dell’oggetto fisico. Un vuoto pieno di significato che non sottrae, ma aggiunge infinite possibilità di esperienza e di relazione con la realtà. “Il mondo artistico di riferimento è la ricerca di Lucio Fontana, il suo istinto a forzare la dimensione piana della tela come atto di costruzione e non di distruzione.” Mirrorless è un oggetto utopico. L’assenza dell’immagine riflessa distoglie dalla vanità effimera, dagli automatismi della società dei selfie, dal culto autoreferenziale che promuove un’estetica edulcorata e standardizzata, sempre più distante da ciò che accade oltre il sé.
La possibilità di guardare “oltre”, attraverso una sorta di finestra fotografica, invita a vivere un’esperienza contemplativa lenta, silenziosa, solitaria e introspettiva. Una conoscenza del mondo reale digitalmente sconnesso e allo stesso tempo pienamente allineato, che non si mette in posa ma cambia continuamente il suo stato d’essere. Mirrorless è una presenza solida, stabile e scultorea, eppure capace di interagire con l’ambiente, ovunque si trovi, attraverso riflessioni ed inquadrature costanti. Eccetto il volto, tutto si riflette sulla superficie in acciaio extra lucido: figura umana, luce e paesaggio diventano tutt’uno, in una sorta di rappresentazione universale del mondo.
Mirrorless è prodotto in un’edizione limitata di 111 pezzi complessivi, ciascuno corredato da un numero seriale progressivo e un doppio certificato di autenticità. 111 è anche un numero palindromo. Questo numero, con la sua struttura ripetitiva e speculare, richiama simbolicamente il dialogo tra umanità e natura: due elementi distinti, riflessi e uniti dalla forza evocativa di un oggetto reale. Interamente realizzato a mano da realtà artigianali in Brianza, Mirrorless porta nella sua essenza il valore della tradizione produttiva Lombarda e la cura per la qualità sostenibile dei materiali e dei processi di produzione, nel rispetto dell’ambiente e delle persone.